
Telelavoro: i falsi miti da sfatare
Secondo una ricerca condotta da Gallup nel 2015, il 37% dei lavoratori USA opera da remoto. Il telelavoro è una realtà. Non si può ignorare quella che non è più definibile come una tendenza passeggera e che ha ormai cambiato il mondo professionale in maniera radicale, mettendo in primo piano un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata. Ecco perché è necessario soffermarsi su alcuni miti da sfatare che riguardano la vita di chi lavora da remoto e il successo delle aziende che optano per questo approccio.
- Chi lavora in remoto ha pochi contatti con il resto dell’azienda: scegliere il telelavoro non implica il fatto che i lavoratori coinvolti, visto che sono lontani dall’ufficio, siano a fare un pic-nic. Ad aiutarci a sfatare questo luogo comune ci pensa una ricerca condotta da TINYPulse e dedicata alla soddisfazione e alla produttività di chi lavora in remoto. Secondo lo studio in questione, il 52% dei lavoratori ha un’interazione quotidiana con il management e il 34% degli incontri settimanali.
- Introdurre il telelavoro nella propria azienda significa mettere a rischio i dati: questo è uno dei luoghi comuni più diffusi da sfatare quando si parla di lavoro in remoto. Per il problema in questione esistono diverse soluzioni, che possono riguardare l’autenticazione a due fattori e la creazione di reti private virtuali (VPN).
- La comunicazione ne risente: se qualcuno lavora a distanza non significa che sia di scarsa qualità la comunicazione con il resto del team. A dimostrare che si sta parlando di un luogo comune c’è la tendenza, sempre più radicata tra le aziende che scelgono d’introdurre il lavoro in remoto, a fornire delle occasioni di ‘socializzazione digitale’, alle quali vengono affiancati dei veri e propri momenti d’incontro per rendere più saldo il rapporto tra i team che lavorano in remoto.
Cosa pensi di questi punti? Aggiungeresti qualche altro luogo comune alla lista di quelli da sfatare quando si parla di telelavoro?